di Claudio Mancusi
Fino al principio del IV sec. imperversarono in tutto l’Impero Romano le persecuzionicontro i Cristiani e per questi vi fu una situazione d’illegalità.Nei secoli IV-VI ci furono, invece, la piena fornitura delle attività e del pensiero cristiani, la collaborazione tra l’Impero romano ed il clero cattolico, la cristianizzazione delle società in tutti i suoi aspetti, il rafforzarsi della gerarchia ecclesiastica e l’approfondimento dogmatico. Non si può far risalire a Costantino il merito o la colpa di tutto questo sviluppo, cheera comunque richiesto dai tempi (lo storico Harnack ha scritto che un Costantino prima o poi doveva venire), nondimeno è certo che egli impresse un indirizzo decisivo ed inoltre egli rimane il simbolo e l’esponente di tutta una particolare “politica”, tanto che ancora oggi si parla della “fine dell’età costantiniana” come della chiusura di un ciclo storico lunghissimo e ben caratterizzato, iniziato per appunto con gli anni di governo di questo imperatore.Non si può tacere di ricordare che Costantino regnò in Gallia del 306 al 312 e risentì assai l’influenza del culto solare ivi abbastanza diffuso, divenendo sempre più un convinto seguace di una religione monoteistica. Allorquando Massenzio, che stava a Roma come usurpatore e non aveva saputo farsi benvolere da nessun partito locale, cominciò a provocarlo, Costantino con rapidità fulminea di mosse, scese in Italia e si presentò alle porte di Roma, infliggendo il 28 ottobre del 312 una grave sconfitta all’avversario, nella battaglia di ponte Milvio, entrando poi in città e prendendo vari provvedimenti per riordinare lo Stato.In nome di quale ideale aveva combattuto? Di quale Dio si sentiva servitore e chi avrebbe ringraziato delle visibili prove di assistenza ricevute? Erano tempi di misticismo ed immaginarsi un Costantino freddo calcolatore, astuto principe machiavellico, è un assurdo, però farne un modello disovrano cattolico, aiutato da rivelazioni speciali, è altrettanto ridicolo, ed assai più naturale e verosimile è vedere in lui l’imperatore convinto della sua missione, desideroso di porre un rimedio alle molte manchevolezze del suo dominio, ansioso di chiamare a raccolta tutte le forze vive della società per una collaborazione feconda nell’interesse collettivo.Rimane in tal modo spiegata la sua posizione di fronte al Cristianesimo: questo non era di certo uno sconosciuto a lui ed egli non poteva trascurare un fenomeno imponente, che aveva permeato di sé gli uffici, l’esercito, le diverse classi; essere ostile in maniera più o meno aperta significava soltanto creare ovunque disagi, perché i cristiani erano buoni cittadini, onesti, laboriosi, non litigiosi. Quelle persone del ceto medio rappresentavano un elemento d’ordine non trascurabile e potevano costituire un’ottima base per un governo monarchico assoluto, che volesse liberarsi dalle lotte delle fazioni e dal predominio dei militari. S’intese che per arrivare a comprendere questo ed a tradurlo in prassi di governo era necessario vincere molti pregiudizi, superare varie incomprensioni e non avere paura di giocare d’audacia puntando sopra una carta mai giocata finora.Si ripete di solito che fu un atteggiamento nuovo, un capovolgimento che faceva del nemico di ieri il miglior alleato d’oggi e metteva in una condizione di privilegio quel fattore storico che gli imperatori avevano respinto. Osservazione esatta formalmente, però, a ben pensarci, la condotta costantiniana non era estranea alle direttive di governo, dato che tutta la storia dell’impero romano altro non è, in definitiva, che una serie di sforzi rivolti a dare un contenuto ideale all’istituzione, un centro intorno al quale rotassero tutti i punti dell’organismo e non andassero in dissoluzione. Avere portato alle estreme conseguenze il programma parve una negazione delle premesse,invece ne fu l’inveramento e la sintesi, a conferma che in storia non esistono fratture né improvvisi colpi di scena, ma un’intima razionalità, che domina tutto lo sviluppo e collega i fatti più disparati.Per quello che concerne le convinzioni religiose personali di Costantino sarà sufficiente aggiungere che gli era sicuro di essere un protetto della divinità a di agire per sua ispirazione (divino instinctu, instinctudivinitatissi legge in documenti che lo riguardano), ma che non si affrettò a precisare quale essa fosse e come si dovesse chiamare, essendo sufficiente la coscienza quasi mistica del compito imperiale che doveva assolvere per il bene dello Stato; forse non è neppure necessario scoprire un’evoluzione spirituale in lui, essendo egli rimasto sempre e soprattutto il capo di uno coacervo di credenze, come di etnie, di lingue e di usi, ed avendo dovuto fare compromessi, non impegnarsi in dichiarazioni troppo esplicite o in distinzioni troppo nette, non rinunziare all’impiego di mezzi violenti e mantenendosi libero nella propria condotta morale privata.Invece la leggenda posteriore si compiacque di abbellire la realtà con parecchie invenzioni e scese nei dettagli, che vanno senz’altro respinti, sia perché è facilissimo scorgerne la progressiva formazione nella storiografia, sia perché sono in aperto contrasto con il clima spirituale del tempo, molto sfumato ed in grado di accogliere sotto un unico simbolo come doveva essere quello che indubbiamente Costantino diede ai suoi soldati prima d’ingaggiare la battaglia decisiva contro Massenzio i seguaci di culti differenti (anche in Roma fu eretta al vincitore una statua che teneva in mano un segno misterioso, che fu accettato da tutti i cittadini, compresi i cristiani, perché si prestava ad interpretazioni differenti).Avendo scelto una determinata linea politica era necessario seguirla con coerenza per ricavarne buoni risultati e, di conseguenza, Costantino s’incontrò con il collega Licinio che era rimasto vincitore nella parte orientale dell’Impero tenendo un atteggiamento assai simile a quello dell’altro in Occidente a Milano nel febbraio del 313; quello che si chiama di solito l’editto di Milano e che invece noi non abbiamo nella sua forma giuridica precisa ma del quale si hanno notizie da alcune lettere conservate da Lattanzio e da Eusebio di Cesarea e dirette ai governatori provinciali per spiegare il contenuto del decreto emanato dai due imperatori non fu altro che la concessione ai cristiani di esercitare liberamente il loro culto, di possedere luoghi di riunione e di avere un congruo rimborso dei danni subiti nelle recenti persecuzioni a patto che anch’essi pregassero “quidquiddivinitatis est in sede caelestis” per il bene dello Stato, affinché tutto il mondo stesse in ordine ed in pace. Il franco riconoscimento delle nuove condizioni che si erano venute a creare con la formazione del “corpus christianorum”, fa di quell’atto un gesto rivoluzionario, anche se il passaggio dal vecchio al nuovo avvenne non senza scosse e fratture, ed il 313 può essere preso come una pietra miliare nel cammino della storia, il punto d’incontro tra Antichità e Medio Evo.Nella seconda parte del suo lungo regno (morì nell’anno 337) Costantino accentuò il suo atteggiamento favorevole verso il Cristianesimo sempre nell’intento di trovare nuove formule per riordinare la vita dello Stato romano e presentare nuovi ideali che rispondessero meglio alla rapida evoluzione dell’organismo sociale imperiale. Il genio politico di Costantino aprì alle nuove esigenze la possibilità di svilupparsi e fruttificare; per questi meriti rimane ancora presente nella storia ed occupa un posto di primo piano nella galleria delle personalità mondiali.