di
Claudio Mancusi
Nel 2001, al 54° Festival di Cannes, Ermanno Olmi presentava il film “Il mestiere delle armi”, vincitore tra l’altro del David di Donatello come miglior film e regista.Perché il titolo “Il mestiere delle armi”? Perché il personaggio principale, Giovanni delle Bande Nere, è un soldato “sic et simpliciter” e come tale rifiuta di essere uno strumento nelle mani della politica. Nonostante gli inganni ed i tradimenti, sceglie comunque di andare incontro al suo destino perché, come diceva George Orwell, “le azioni anche se sono prive di effetto, non per questo risultano prive di significato”.
La dialettica della Difesa, non senza una continua evoluzione di approfondimento intellettuale sul concetto di sicurezza e militarità, parla di “strumento militare” posto al servizio della libertà e della democrazia. La consapevolezza di essere strumento posto al servizio del bene comune, è quindi il costitutivo ontologico dell’homo militaris, dell’inquilino della “caserma=casa delle armi”, e ne distingue il tratto antropologico sul piano collettivo. L’equazione di Orwell, azioni-effetto-significato, caratterizza il linguaggio ed il network sociale del mondo militare a livello simbolico, preventivo e operativo, veicolando significati profondi per la collettività anche con azioni apparentemente prive di un effetto specificatamente militare.
Il linguaggio dei segni del mondo militare risolve quindi l’astrazione del concetto di “stato”, di “cosa pubblica”, rendendo visibile ed esecutiva nella prassi la legislazione e la sicurezza.
Sul piano antropologico, la formazione dell’homo militaris, diventa paradigma del cittadino esemplare, del custode della Costituzione, di ideali promananti il senso del servizio e dell’altruismo che non conoscono ostacoli. Il distinguo tra mestiere e strumento, radicato in questa formazione, emerge in un concetto, che potrebbe risultare quasi desueto: “il dovere”. Infatti la domanda e la spinta di fondo del servitore dello stato in armi è “cosa devo fare io per lo stato”, che scavalca, anticipandola, la legittima aspettativa inversa “cosa deve fare lo stato per me”.
Ne consegue che il militare ricorda ad ogni singolo cittadino che far parte della nazione non è un mestiere, ma consapevolezza di essere strumento chiamato a concorrere con azioni-effetti-significati alla rimozione di tutti gli ostacoli che non rendono attuativi i principi costituzionali della cosa pubblica e fanno risultare a tratti opaco il tricolore.