di Claudio MANCUSI
L’aggettivo “dogmatico” è oggi, in genere, accompagnato, sia nel discorso scientifico che nel linguaggio degli strumenti della comunicazione sociale, quasi esclusivamente da connotazioni negative. Il più delle volte esso sta a indicare una “assolutizzazione di opinioni soggettive”, “intolleranza verso coloro che la pensano diversamente”, “una dotta concettualità lontana dalla vita”, “opposizione all’autonomia del pensiero”, “causa spirituale di guerre di religione e di persecuzione degli eretici” o infine, ma certamente non da ultimo, “repressione di nuove conoscenze scientifiche in favore di una fondazione ideologica della sete di potere della gerarchia ecclesiastica”.Questa critica deleteria non si riferisce solo al contenuto dei singoli dogmi, ma riguarda complessivamente la pretesa di verità del cristianesimo.E in effetti lo sviluppo gnoseologico, verificatosi nella filosofia dell’illuminismo europeo, che non ammette sulla trascendenza proposizioni affermative, ma tutt’al più solo proposizioni ipotetiche, non vieta di affermare che esistono delle proposizioni vere valide per tutti? Tenuto conto del condizionamento storico di ogni pretesa umana in fatto di verità e del pluralismo delle religioni, delle Weltanschauungen (visioni globali) delle ideologie e delle filosofie, la formulazione di verità sulle ultime realtà, completamente indipendente dal punto di vista umano, non è divenuta definitivamente impossibile? In questa costellazione culturale storica sembra si possa sostenere ancora solo uno scetticismo metafisico, che lascia sussistere il pluralismo, non più riducibile ad alcuna unità, come un avvicinamento asintotico alla verità per sempre inconoscibile. A queste condizioni, le affermazioni della fede cristiana potrebbero essere solo ancora catalogate come configurazioni, dipendenti dal soggetto credente, che vengono proiettate sulla parete di una vuota trascendenza.Una critica radicale al carattere dogmatico del cristianesimo è stata mossa, a partire dal secolo XVIII, anche da correnti intracristiane, che non definiscono la fede in base al suo contenuto cognitivo e razionale, ma la fanno derivare da un a priori religioso emotivo (religiosità del cuore, del pietismo, teologia del sentimento di Schleiermacher e anche il modernismo in campo cattolico). Ci si oppone alla trasformazione razionalistica della fede in un sistema di proposizioni ortodosse, la cui accettazione in virtù della semplice autorità di Dio sarebbe determinante per il raggiungimento della beatitudine eterna (come avvenne nel soprannaturalismo della dogmatica ortodossa protestante e anche nella neoscolastica cattolica del secolo XIX, che intesero la fede soprattutto come un “ritener vera” la verità rivelata, proposta dalla Chiesa). A differenza di una simile concezione dogmatica razionalistica della fede, le menzionate correnti vedono nel cristianesimo piuttosto una religione pratica della sequela di Gesù e dell’amore affettivo per lui, dal momento che Gesù non avrebbe proposto alcuna proposizione dottrinale da credere, ma avrebbe semplicemente indicato con il suo esempio la giusta via da seguire. In base al motto “il dogma divide, la vita unisce”, questa visuale pretende inoltre non di rado di offrire la ricetta per la soluzione di tutti i problemi legati alla molteplicità delle confessioni religiose.La critica alla concezione dogmatica del cristianesimo si rifà spesso al linguaggio di Kant, senza tuttavia menzionare il vero e proprio destinatario della sua critica. Quel che Kant propriamente respinge non è il procedimento dogmatico della ragion pura, ma il procedimento della metafisica razionalistica, con cui dai concetti e dalle idee razionali dati in partenza si pretendeva di dedurre tutta la realtà e si pensava di poter così pervenire a verità essenziali e metatemporali della religione, della metafisica e dell’etica, verità che sarebbero completamente indipendenti dal contesto storico in cui l’uomo conosce e comprende.Si deduce allora che il metodo dogmatico, cioè l’approfondimento intellettuale della fede che si propone di mettere in rapporto la libera autorivelazione di Dio in Gesù Cristo con l’orientamento spirituale ed etico dell’uomo nel suo mondo, risulta essere l’unica garanzia della verità della fede che mai contrasta con la ragione.