ROMA – “Ci sono i gatti e i leoni. Qualcuno pensava che fossi un leone ferito, ma si sbagliava di grosso”. Quando Roberto Occhiuto dettò la metafora a Repubblica, inceppandosi tra i rifermenti felini – non s’è mai capito cosa intendesse essere: gatto o leone? – non si era ancora dimesso da Governatore della Calabria per candidarsi a Governatore della Calabria e tornare ad essere Governatore della Calabria. Un salto triplo per restare al suo posto. Gli exit poll lo danno mentre scriviamo al 58%, alcuni al 62: insomma, per quanto le forbici possano tradirsi nella realtà, non c’è dubbio che è lui il vincitore, e non certo l’europarlamentare 5 Stelle ed ex presidente Inps Pasquale Tridico che gli si opponeva per la poltrona.
Occhiuto – classe ’67, tre figli, laurea in Economia – ha in curriculum tre mandati da deputato e un percorso da trasformista agonistico: otto partiti in vent’anni. Ha scalato tutti i gradini della politica uno ad uno: consigliere comunale DC a 24 anni, consigliere regionale a 31, in Parlamento a 39 con l’Udc e poi in Forza Italia, dove è stato anche vicesegretario nazionale da Berlusconiano di stretta osservanza. I suoi lo chiamavano “democristiano futurista”, una pennellata d’autore. Fu giornalista pubblicista, ed editore del network televisivo formato da Ten, Telestars, e Rete Alfa. Nel 2007 stabilì il record tra i consiglieri calabresi per numero di portaborse, ben 12. In un’intervista al Sole 24 Ore confessò: “C’è chi mi aiutava per il sito, chi smistava la corrispondenza, insomma li tenevo impegnati tutto il giorno”.
Nel 2021 il centrodestra lo scelse per guidare la Calabria dopo la scomparsa prematura di Jole Santelli. Occhiuto allora scese in campo con toni moderati, promettendo sanità funzionante, strade senza buche e investimenti. Vinse anche allora senza patemi, con il 54,5% dei voti. Appena insediato, Palazzo Chigi gli mise in mano il dossier più spinoso del Sud: la sanità commissariata.
Dopo essersi polemicamente dimesso per un’inchiesta per corruzione (presunti incarichi regalati agli amici di un tempo, a cominciare dall’ex socio Paolo Posteraro), s’è lanciato in una campagna elettorale martellante: piazze, social, sopralluoghi, polemiche. “La più intensa e la più bella”, ha detto lui. Non aveva dubbi in cuor suo, era una gara a geometria variabile ma mica tanto: le percentuali bulgare della sua rielezioni ribadiranno a breve il concetto. Sul palco finale ha chiamato i big del centrodestra: Meloni, Tajani e Salvini, nonostante i pregressi battibecchi con la Lega sull’autonomia differenziata. Ora son tutti lì a festeggiarne il trionfo. L’ennesima zampata del leone. O del gatto, vai a sapere.
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