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La tiktoker Rita De Crescenzo candidata alle Regionali, l’esperto: “Viralità social non è un lasciapassare certo per i voti”

PoliticaLa tiktoker Rita De Crescenzo candidata alle Regionali, l’esperto: “Viralità social non è un lasciapassare certo per i voti”

(Foto Fb Rita De Crescenzo)

Di Natale De Gregorio sulle pagine de Il Riformista

ROMA – Probabilmente verrò smentito dalle urne — lo metto subito in conto — ma lo scrivo chiaro: Rita De Crescenzo candidata è l’ennesima bolla mediatica pronta a scoppiare. Rischio di passare alla storia come il nuovo Fassino con il M5S? Può essere. Ma, per dirla alla Fassino, “si faccia il suo partito e vediamo quanto prende”.

Natale De Gregorio

Il video virale con Angelo Parlato in Consiglio regionale è un contenuto da manuale su TikTok: bandiera tricolore, inno nazionale, ammiccamenti a future candidature. Il format funziona, macina milioni di visualizzazioni, alimenta il dibattito, ottiene reazioni dalla politica e agita i benpensanti. Ma non c’è ancora nessuna evidenza che questa visibilità si traduca in consenso reale.

GLI INFLUENCER IN POLITICA

La storia recente è un bollettino di tentativi falliti. Samuel Comandini, alias Zio Command, influencer umbro, alle regionali del 2024 si è fermato a 682 preferenze. Anna Suarato, TikToker di Castellammare di Stabia con decine di migliaia di follower, alle ultime comunali ha raccolto 4 voti ufficiali. Ci sono eccezioni? Sì, ma fuori dall’Italia, con candidature che in Italia definiremmo indipendenti o provenienti dalla società civile.

In Spagna, Alvise Pérez — ex collaboratore di partiti come UPyD e Ciudadanos, poi diventato influencer anti-sistema e fondatore del movimento “Se Acabó La Fiesta” — alle Europee del 2024 ha preso il 4,6% e tre seggi, grazie a una macchina organizzativa enorme. A Cipro, Fidias Panayiotou — YouTuber di 24 anni con milioni di follower, noto per video virali e sfide estreme — si è candidato da indipendente e ha conquistato circa il 20% dei voti, entrando così in Europarlamento.

LE CAMPAGNE ELETTORALI

Anche nelle campagne nazionali i social sono un pezzo importante della narrazione. Ma la vittoria elettorale si costruisce ancora con radicamento territoriale, strutture solide, messaggi chiari, alleanze, risorse. Berlusconi nel ’94, il M5S di Grillo: lì c’erano soldi, organizzazione e la capacità di parlare alla testa e alla pancia di milioni di persone. Pensare che oggi basti un balletto su TikTok per ribaltare un’elezione è un paragone profondamente sbagliato.

Questo non vuol dire che il fenomeno sia innocuo. Anzi. La politica tradizionale ha perso credibilità, non è più capace di parlare alla maggioranza, e il bacino di astensionismo continua a crescere. È lì che figure “social-native” possono fare presa a colpi di visibilità e populismo. Vedi l’utilizzo che fa l’onorevole Francesco Emilio Borrelli delle dirette on the road su TikTok (alle ultime elezioni europee ha ottenuto 33.983 preferenze solo a Napoli e provincia). Non a caso è lui il personaggio scelto da Rita De Crescenzo e Angelo Parlato per costruire uno schema di polarizzazione: da una parte chi vuole riportare l’ordine e la legalità in alcuni contesti difficili napoletani; dall’altra chi vuole farsi portavoce delle difficoltà del “popolino”, giustificando tutto quello che serve per garantirne la sopravvivenza.

CITTADINI E FOLLOWER

Ma quella che, secondo me, è ancora netta e incolmabile è la differenza tra cittadino e user. Sui social siamo disposti a condividere e commentare contenuti che nella vita reale non sposeremmo mai. L’utente clicca, il cittadino vota. E il passaggio dall’uno all’altro non è affatto scontato.

Un altro pezzo di questa riflessione è professionale, da osservatore: è chiaro che la politica debba adattarsi a questi linguaggi, imparare a intercettarli. Ma serve farlo con credibilità, senza snaturarsi. Trasformare notorietà in consenso è difficilissimo, ancora di più se alle spalle non c’è un progetto credibile.

Come scriveva Bill Gates già nel 1996, “Content is king”. Valeva per il web alle origini, vale ancora di più nella comunicazione politica. E se la proposta è un collage di slogan buttati lì — “rimettere il reddito di cittadinanza”, “aggiustare gli ospedali” — senza uno straccio di piano, la visibilità evapora quando prova a trasformarsi in consenso. Se non distingui un ministero da un assessorato, un sindaco da un consigliere regionale, puoi pure fare milioni di views: il giorno del voto, quelle views restano online, difficilmente finiscono nelle urne.

Certo, anche Rita De Crescenzo ha diritto a uno spin doctor — pare ci stia già lavorando — che la trasformi in una candidata a fare politica senza snaturarla. Senza però dimenticare che i social sono uno straordinario strumento di democratizzazione dell’informazione. Mai sottovalutare l’elettorato: i cittadini — anche quelli che gli stessi protagonisti di questo movimento “dal basso” chiamano con arroganza “popolino” — sanno distinguere tra un balletto virale e una proposta seria. La viralità, per fortuna, non è un lasciapassare certo e sicuro per il consenso.
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